La corsa ragazzina è un memoir incastonato tra le acque, i legni e le pietre di Venezia agli sgoccioli del ventesimo secolo, un ricordo emozionato di un tratto di vita dell’autrice che si è configurato subito come una letteratura. Più che un romanzo autobiografico è l’esposizione di un’emozione, dovuta anche al particolare stato di allerta dei protagonisti, Nancy e Andrea. Ci sono micro riflessioni sull’arte, l’architettura, il cinema, la musica, la letteratura e un breve capitolo dedicato a Peter Handke. I detour concettuali attengono alla ricerca di Dottorato che Nancy svolge nella città lagunare e che procede parallela alla storia d’amore e vi si riflette, una storia d’amore infatti immediatamente liberata dalle classiche catene dell’amore. Come le ance del mantice di una fisarmonica, Nancy e Andrea corrono l’uno incontro all’altra e l’una dall’altro sgusciano via; preferiscono sottrarsi, volar via, sfarfalleggiare, volare ancora. Nancy si è subito accorta che quel che vive è un romanzo, un film, "una storia fatata" ed entra con naturalezza in quel vortice che pare la voglia di un altro spazio: un ultraspazio che Venezia avvalora. I passi in prosa poetica, sparsi nel testo, sono stati composti proprio allora e sono riportati in corsivo. La prima parte del romanzo, nella sua versione inedita, ha ricevuto dei riconoscimenti letterari: Premio Salinger, Premio Montefiore e una accurata scheda di lettura dal Premio Calvino, la quale ne ha messo in evidenza la preziosità linguistica definendolo quasi una poesia in prosa, “una sorta di istantanea: la fotografia di un incontro e del tumulto emotivo che ha generato”. “Un filo d'organza trasparente tesse le trame su più orditi: la storia d’amore incalza il cuore come un fiume in piena, intanto che il lettore è inondato qua e là di fiamme e strali. Sparsi fra i luoghi e l'amore, le attese e i ritorni, ci sono infatti degli inserti luccicanti, dei gioielli in corsivo sull’arte, l’architettura, la musica, il cinema, il vino, le sacre soglie, i livelli del sentire, pura acqua che disseta la mente.” “Di questo romanzo colpisce e alletta a prima giunta la dovizia lessicale e il mirabile governo della cosa sintattica. […] Terza persona, indicativo presente, narratore onnisciente, il romanzo alberga prose liriche e notevoli brani saggistici, specie di critica d’arte, resi in una lingua impreziosita di cultismi.” (Gualberto Alvino, su ENCICLOPEDIA TRECCANI) I capitoli sono brevissimi e il ritmo è cinematografico. Nessuna persona è inventata, qualcuna ha un nome di fantasia, qualche altra il suo vero nome e cognome. E tutti i fatti narrati sono realmente accaduti. L’autrice, mentre scriveva il romanzo, aveva in mente l’opera di André Breton, Nadja, affascinata da quel suo essere autentica in ogni dettaglio e surreale allo stesso tempo, misteriosamente colma di presagi e coincidenze. Un pathos d’incantesimo avvolge anche Nancy che, prima di incontrare Andrea, stranamente decide di andare incontro alla realtà come il Guardatore di Handke, in modo pulito, solo per esaltare le cose. Ed ecco che la realtà le si offre in una forma inattesa e la sorprende. Nel coincidere di contrattempi ella già avverte che c’è qualcosa che dovrà assolutamente accadere e che il precipitare degli eventi non può essere arrestato, perché fatale; sono circostanze che le si sentono, proprio mentre si formano nell’aria, incomprensibili e benevole, quasi volute da un campo magnetico Celeste. E, con tutta probabilità, è stata Nancy stessa, svuotandosi d’ogni appetito e desiderio, ad attirare il sogno più bello che le potesse accadere, e poi è sempre lei, che mancando sé stessa e le sue ore, lo spegnerà, forse perché la vicenda sentimentale è talmente potente da non riuscire a sostenerla. Ed è Venezia colei che è destinata a rivelare questa topologia emozionale dell’essere presenti l’uno all’altra e l’uno dall’altra in fuga, lanciati verso il loro io ideale, in fuga da loro, in cui il reale e il suo fantasma si confondono.